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I Mille di un nuovo Risorgimento. Caterina e il suo taxi colorato

By Cristina Cattini on 24 Marzo 2011 in NOTIZIE BUONE
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di Maria Vittoria Giannotti

Un cappellone pieno di fiori. Abiti coloratissimi. Un taxi pieno di pupazzi con occhi e bocca disegnati sulla carrozzeria. E un sorriso impossibile da dimenticare. Sembra uscita dal mondo delle fiabe, zia Caterina, anche se le storie che racconta non sempre sono a lieto fine. Eppure anche davanti ai bambini che hanno perso la loro battaglia contro la malattia, Caterina Bellandi non si arrende. Guarda avanti, con quel suo sorriso speciale. Perché altri bambini possano realizzare i loro sogni, anche fosse per l’ultima volta. E perché i loro genitori non perdano la speranza, anche nei momenti più difficili.

L’avventura di questa tassista che percorre ogni giorno le strade di Firenze – ma il suo taxi, Milano 25, è arrivato fino a Londra, a Mosca a Eurodisneyland e in Albania – comincia il 24 agosto del 2001. Quando il suo compagno, Stefano, 39 anni, si arrende a un tumore. E, prima di morire, le affida il taxi: Milano 25, appunto. Caterina, anche se disperata, decide di cambiare vita: lascia l’azienda per cui lavora e, armata di stradario, comincia a girare.

Sulla macchina dipinge una grande margherita. Ed è quel fiore che, tre anni dopo, colpisce una bambina che sale sul taxi insieme ai genitori e le racconta di aver appena perso il fratellino per un glioblastoma.

Arriva la svolta. Milano 25 si trasforma in un taxi variopinto che fa impazzire i bambini e strappa loro un sorriso, anche se devono andare in ospedale, al Meyer, a curarsi. Le corse, per i piccoli e i loro genitori, sono gratuite. L’entusiasmo di Caterina è contagioso: i 33mila amici su Facebook stanno lì a dimostrarlo. Sulla sua strada, lastricata di dolore e di sorrisi, di sogni che si realizzano e che si infrangono, trova tanti disposti ad aiutarla. Sono imprese pazzesche, quelle in cui riesce. Come quando organizza un viaggio in mongolfiera per un bambino ammalato che ha sempre sognato di farlo. O come quando accompagna a Londra Luca, un adolescente, da anni alle prese con un sarcoma, che non ha perso la voglia di vedere il mondo.

L’ultimo viaggio?
«Sono appena tornata dalla Sicilia, a Messina, dove due genitori mi aspettavano. Qualche tempo fa hanno perso il figlio. Ho suggerito loro di fare qualcosa nella loro terra, da cui erano stati costretti a venire via dopo la diagnosi. E loro si sono innamorati di questa idea, hanno creato una onlus e hanno finanziato il reparto di onco-ematologia dell’ospedale cittadino. Sono convinta, perché l’ho provato sulla mia pelle, che il dolore li accompagnerà per sempre, ma con uno scopo la loro vita sarà più piena. Per me è stato così: la vita va vissuta, senza paura. Ed è quello che cerco di fare, ogni giorno. Se ci si affida all’amore, si viene ricompensati».

La gente, di solito, ha paura del male…
«È proprio questo l’errore. Per vivere bene, bisogna sapere accettare la morte. Guai ad avere paura a entrare negli ospedali o nei cimiteri. Sono convinta che tutto questo dolore debba avere un senso e non solo nell’aldilà, ma anche su questa terra. Per questo sorrido sempre. E ai funerali dei bambini vado con il mio taxi coloratissimo».

Sorridere, sempre.
«Sì, soprattutto quando sei disperato. Al dolore, va data una risposta gioiosa. E questo fottuto metodo, una volta che si è imparato a metterlo in pratica, funziona».

È così che sono nati i super-eroi?
«I super-eroi sono i bambini che ogni giorno lottano con la malattia, affrontando la chemio e la radioterapia. Se qualcuno è malato a una gamba, è lì che sono concentrati i suoi poteri speciali».

E nell’ottica di capovolgimento del dolore, ti vesti in modo stravagante e coloratissimo?
«È il mio modo di incuriosire gli altri. Abiti e pupazzi sono un modo per risvegliare il prossimo, chiamarlo a lavorare per la solidarietà. C’è tanta gente che ha voglia di impostare la vita seguendo l’ irresistibile impulso che è l’amore, ma ha paura di esporsi. Con i miei cappelli pieni di fiori e la mia disponibilità a raccontare, li spiazzo e li trascino. Se mi vestissi di nero li spaventerei. Invece, chiedo aiuto regalando un sorriso».

Le storie che racconti, a volte, finiscono male. Eppure sono piene di allegria. Oggi eri al Meyer per lanciare i palloncini in ricordo di super-Filli, che da pochi giorni non c’è più.
«Filomena aveva 12 anni ed era di Marignolle, in Campania. Tempo fa la stavo riaccompagnando a casa e le chiesi come era Napoli. Lei mi rispose che, pur abitando a venti chilometri di distanza, non l’aveva mai vista. Così facemmo una deviazione e trascorremmo una bellissima giornata insieme. A Napoli abbiamo conosciuto Antonella che poi ha chiesto a Filli di fare la damigella d’onore al suo matrimonio. Anche quella è stata un’esperienza meravigliosa. Come la sua festa di compleanno, organizzata venti giorni fa, con palloncini, clown e tutti gli amici. Oggi, i palloncini in suo onore, li abbiamo lanciati davanti alla stanza sterile dove sta Giorgio, un tremendo, ma adorabile scugnizzo napoletano di 14 anni – pensa che per il mio compleanno ha fatto una festa con i botti. È arrivato al Meyer sei mesi fa. Lui non può uscire di lì per 15-20 giorni e noi abbiamo fatto la performance davanti alla finestra della sua stanza, così ci ha potuti vedere… ».

21 marzo 2011

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