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Pienezza umana, Pienezza divina

By Cristina Cattini on 27 Febbraio 2011 in ARTICOLI
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Breve intervento sulla dimensione psicologica della propria vocazione, che altro non è che pienezza umana e quindi divina.
L’incontro è stato tenuto all’interno del campo biblico invernale tenuto dell’ordine dei Servi di Maria a Rovato (BS) il 28.12.08.

Di Cristina Cattini

Attraverso la Parola e grazie all’esperienza di Paolo possiamo farci guidare in una breve riflessione sul nostro cammino, per ascoltare noi stessi e la nostra storia con apertura serena.

Ciò che più mi colpisce di Saulo, il vecchio nome ebraico di Paolo, nome che rispecchia il suo essere all’inizio del cammino di pienezza, è che “egli fremeva minaccia e strage contro i discepoli del Signore”.
Perseguitare significa vedere l’altro come un nemico da vincere e quindi proiettare fuori una propria immaturità, la difficoltà a camminare con l’altro e per l’altro nonostante le differenze. La persecuzione è una caratteristica dell’integralismo, piaga diffusissima anche oggi, a diversi livelli (politico, religioso, personale).
In nome delle proprie idee, di qualunque natura esse siano, si sacrifica la dignità e la libertà dell’altra persona; il principio, il dogma, viene prima della dimora che Dio ha scelto nel mondo.
Dio infatti si incarna continuamente nella vita e nella storia di ogni uomo, anche del più peccatore. Dio continuamente ci visita non per perseguitarci, ma per camminare con noi; Egli accoglie e ama le nostre zone buie, pur chiamandoci ad una pienezza maggiore.
Un fede disincarnata, che non sa guardare negli occhi il fratello, è una fede incompleta e potenzialmente pericolosa, espressione di un bisogno di crescita.
Paolo ha accettato di scendere da cavallo e aprire gli occhi su una prospettiva apparentemente più bassa, ma più umana e autentica!
Saulo il persecutore ha acconsentito a farsi rovesciare da Dio, a diventare pienamente se stesso .

In psicologia, per Erikson la giovinezza (20-30 anni) è caratterizzata dal pieno sviluppo dell’Io e dalla virtù dell’amore, che permette di sperimentare l’intimità intesa come capacità di relazione autentica contrapposta all’isolamento.
Per avere relazioni autentiche è necessario però accettare la sfida della parziale fusione con l’altro senza temere di perdere la propria identità. Essere separati psicologicamente significa avere contorni ben precisi che mi permettono di individuare i miei e gli altrui limiti e spazi; se devo consentire agli altri (a Dio, alla famiglia, al fratello, al paziente…) l’accesso al mio spazio (il giardino chiuso del Cantico) devo prima di tutto possederlo.
In caso contrario ecco che l’altro minaccia le nostre apparenti sicurezze, scatenando in noi insicurezza e a volte aggressività e costringendoci a ricorrere a dogmi e idee che ci permettano di ripristinare le nostre certezze.

Rapporti di intimità autentica, intesi nel senso di una maturità psicologica, permettono generatività.
“Intimità è anche stare nella differenza, accettando dall’altro tutto, compresi quegli aspetti che nella nostra ideologia, nella nostra mente possono svalutarlo. Accettare il rischio di essere noi svalutati, noi che possiamo accettare i nostri lati deboli. Intimità e con le parole di Holderlin ciò che tiene divise le cose nel loro contrasto e che, proprio per questo, allo stesso tempo, le racchiude insieme”

Per Freud la giovinezza è il momento in cui il soggetto è pronto per amare e lavorare, maturando quindi nella capacità di amore e nella generatività.
La vocazione, la chiamata qualunque essa sia è quindi ambito privilegiato di espressione di sé stessi, di creatività e di messa a frutto dei propri talenti.
La libertà nell’amore che Paolo, svestitosi di Saulo, sperimenta è la corretta espressione di una persona matura e piena, “risolta”.

Levinson in una interessante tesi ritiene fondamentali 4 fattori:
1. Trovare un consigliere
2. Intraprendere una carriera, una strada (non intendiamo la carriera in senso negativo, ma come una via vissuta in pienezza)
3. Stabilire relazioni intime
4. Definire un Sogno

Merita un po’ di spazio il concetto di Sogno (pensiamo alla vocazione di Giuseppe, in Matteo, che si rende esplicita proprio attraverso un sogno, così come per altri personaggi biblici) che porta a sognare anche situazioni irrealizzabili inizialmente, ma che, avvicinandosi sempre di più alla realtà, donano una forza propulsiva che permette di realizzare davvero ciò che sembrava impossibile (nulla è impossibile a Dio e all’uomo).

Così come quello di consigliere, di guida: è necessario affidare con fiducia la propria storia e il proprio percorso ad una persona che ci possa rispecchiare, permettendoci di vederci per come siamo realmente. Avere il coraggio della relazione permette la maturazione del proprio vero Sé.

Dall’intimità deriva, come dicevo poco fa, la pro-creatività, la generatività, caratterizzata dalla capacità di prendersi cura.
Generare azioni mature, piene e adeguate, che producano benessere e gioia, serenità e capacità nell’altro di assumersi le proprie responsabilità. La maternità e la paternità sono capacità che si acquisiscono e che non sono direttamente correlate alla genitorialità. Si è madri e padri in qualunque vocazione vissuta in pienezza.
Un vocazione degna di tale nome è infatti un “luogo” in cui prendersi cura dell’altro, della storia, del mondo. Generare significa allargare i confini della propria tenda al punto da ospitare il mondo e il singolo, generandoli, curandoli e accompagnandoli.
Come un bimbo.
In caso contrario ecco che ritorna l’integralismo come apparenza di vita vissuta in pienezza.

Voglio ripensare insieme a voi alla Parola che abbiamo udito qualche giorno fa, la Parola della Natività.
Il Verbo si è fatto carne, ma per accoglierlo è necessario essere persone in cammino che perseguono una maturità di fede ma anche umana e psicologica.
Perché il Verbo
si è fatto fame,
si è fatto bisogno,
si è fatto carezza,
si è fatto lacrime,
si è fatto polvere, mano e saliva e occhi nuovi,
si è fatto agnello, carne in cui grida il dolore,
si è fatto totalmente Altro (p. Ermes M. Ronchi).

Dio ci interpella profondamente e chi chiede di diventare persone adulte, risolte e psicologicamente equilibrate, così come Paolo.

Vi lascio con un bel pensiero di Martin Buber:
“nel’ambiente che avverto come il mio ambiente naturale, nella situazione che mi è toccata in sorte, in quello che mi capita giorno dopo giorno, in quello che la vita quotidiana mi richiede: proprio in questo risiede il mio compito essenziale, lì si trova il compimento dell’esistenza messo alla mia portata. E’ sotto la stufa di casa nostra che è sepolto il nostro tesoro”
M. Buber, “Il cammino dell’uomo”, 1990